Skip to main content

Data

01 September 2023

Scritto da

Francesca Battistella

Cosa sono i sogni e come si sposano con l’amore e i ricordi?

Ho amato moltissimo i libri di Javier Marías tanto da averne già parlato in questo blog - di un libro solo, in verità, Tutte le anime - e di piangerne ancora, da lettrice, la morte prematura avvenuta un anno fa (11 settembre 2022).


All’elenco mancava L’uomo sentimentale e forse qualche altro titolo. Controllerò. Ma più che parlare della trama di questo libro o della sua costruzione letteraria e del modo in cui la vicenda si dipana, ciò che mi ha colpita è la mescolanza fra sogno e realtà. Il protagonista, famoso tenore noto con il soprannome di Leone di Napoli, inizia il suo racconto mescolando ciò che proprio quella notte ha sognato con ciò che gli è accaduto quattro anni prima. E siccome il perno intorno al quale ruota l’intera vicenda è l’amore - il sentimento amoroso, l’amore passione, l’attesa dell’amore, la sua realizzazione, la sua incompiutezza e anche la sua fine - mi sono trovata a seguire un treno, forse un po’ confuso, di pensieri legati alle persone amate e ai sogni, a quelle manifestazioni vaghe che essi rappresentano con il loro lasciarci all’improvviso senza nulla chiarire, simili a un film che s’interrompa per qualche motivo, non importa quale. Lungi da me voler spiegare i meccanismi del sogno, o i suoi significati legati o meno alle nostre vite, come alla nostra capacità di ricordare ciò che sogniamo - non tutti rammentano le ‘avventure’ della notte. A me accade di ricordarli, come mi accade che un sogno particolarmente vivido, come spesso lo sono quelli prima del risveglio, condizioni la mia giornata, il mio umore. Così tanto da chiedermi se non abbia davvero vissuto per lo spazio di un istante in un mondo parallelo, di nuovo in compagnia di persone amate e lontane o da tempo scomparse, di animali che per lunghi anni mi hanno tenuto compagnia e sono ormai polvere, di luoghi che di sicuro non rivedrò più. Non è dunque così strano che un’intera storia, come quella narrata dal protagonista de L’uomo sentimentale, sia al contempo sogno e realtà; e di come a tratti il sogno sia più concreto, accurato e vivido del ricordo reale - ma quanto reali sono i ricordi? Chi potrebbe giurare sui dettagli di un evento ad anni di distanza? - e come in esso gli attori si muovano con più logica e agio che nella vita vissuta. E in fondo, non è ciò che chiamiamo amore esso stesso una forma di sogno? O almeno una forma di illusione: amiamo davvero chi ci sta davanti? Lo prendiamo, accettiamo così com’è, con pregi e difetti, o non provvediamo a rivestirlo con un abito su misura, la nostra, quella che riteniamo gli si adatti meglio per convincerci del sentimento che proviamo nei suoi confronti? Un sentimento di cui, è chiaro, abbiamo bisogno. E quando l’illusione finisce? Si passa dalla disperazione alla rabbia, a un senso di profonda desolazione per l’errore commesso: come ho potuto non vedere? Non accorgermi? Da questo fino al desiderio di annientare l’altro. Lo si vede succedere ormai fin troppo spesso. O forse, come sostiene Marías, solo gli amori incompiuti sono quelli che portano davvero alla disperazione fino alla morte. Quella dell’amante però, non dell’amato.

A volte, negli amori compiuti, agiti, niente di tutto questo accade e quello che si prova quando finiscono è una profonda, irrimediabile indifferenza verso l’altro. Eppure, in seguito e magari dopo molti anni, può capitarci di sognarlo questo ‘altro’ e per il breve tempo del sogno riprovare quel sentimento profondo che ci aveva spinto a includerlo nella nostra vita in modo, credevamo, permanente. Così, mentre sogniamo, ci domandiamo - immemori - perché ci siamo lasciati, perché non lo amiamo più e ci svegliamo spaesati, un po’ stupiti e colpevoli finché la realtà - la realtà? - non torna prepotente a ricordarci cosa è successo. Ma, sogni a parte, ci sono una serie di paragrafi in questo libro di Marías che mi hanno colpita in modo particolare. Hanno a che fare con il sonno, quello che alcuni chiamano in modo per me assai macabro ‘fratello della morte’. È di sicuro il momento in cui siamo più vulnerabili, indifesi. Il momento in cui, fatte salve le funzioni di sopravvivenza come respiro e battito cardiaco, il nostro corpo non ci appartiene più, su di lui non abbiamo alcun controllo cosciente. Inquietante pensiero. Mentre vaghiamo negli universi paralleli dei sogni, l’involucro che ci contiene, come un abito appeso a una gruccia, resta in questo mondo alla mercé di chiunque o di qualsiasi evento. “È spaventoso come le persone siano abbandonate, in piena naturalezza e con la coscienza assolutamente tranquilla degli altri, ad alcune lunghissime e rischiose ore in cui si dà per scontato che non hanno bisogno di nulla perché dormono…” (L’uomo sentimentale, J. Marías, Einaudi, 1986) Detto così sembra quasi banale, ma ciò che invece ha richiamato alla mia mente è stata l’immagine di molte madri che vegliano il sonno delle loro creature, che si svegliano di colpo durante la notte e corrono a controllare nella stanza dei bambini che tutto sia a posto. Come mi ha ricordato l’incipit di un giallo di Henning Mankell dove un anziano si sveglia di soprassalto durante la notte, come gli capita sovente, terrorizzato all’idea che sua moglie sia morta nel sonno. E quante volte, i meno fortunati come la sottoscritta, svegliandosi più volte di notte immaginano l’inimmaginabile che svanisce come un’ombra molesta alla luce del giorno.
Per finire, il protagonista dice, in tempi diversi, due cose. La prima: non voglio morire come un imbecille. La seconda, per me legata alla prima, quanto sia triste andarsene nel pieno del sonno: “C’è soltanto una cosa più solitaria che morire senza che nessuno se ne accorga, ed è morire senza accorgersi di quello che sta succedendo, senza che chi muore si accorga della propria dissoluzione e fine...”. (L’uomo sentimentale, J. Marías, Einaudi, 1986) Ma su questo io non sono d’accordo perché, al contrario, mi pare una grazia ineffabile andarsene in questo modo, magari rapiti in quegli universi paralleli che continuo a credere siano i sogni.

I sogni. Il sonno. I ricordi. L’amore in tutte le sue declinazioni. La morte, forse.


“Morire, dormire…nient’altro, e con il sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi con devozione.” Avete riconosciuto la citazione?


 

Ultime pubblicazioni